Giunsero ad Assisi all’ora di pranzo. Era un mercoledì invernale e nella città non c’erano turisti; Flavio entrò nelle strette viuzze e riuscì a parcheggiare proprio accanto ad un ristorante. Sembrava proprio che in quel giorno ogni cosa fluisse con una particolare armonia.

Era il modo giusto per festeggiare il suo compleanno, pensò Flavio mentre scorreva il menù. Guardò sua moglie che sorrideva serena di fronte a lui e si sentì in pace.

Gli alti e bassi dei sentimenti di amore erano tra loro sempre stati compensati dal rispetto e dall’amicizia che li univa.

Lasciata Assisi, lasciati quei muri di pietra e quelle strade strette e colme dell’energia degli uomini Flavio si trovò ad attraversare un arco di pietra: la citta sacra era finita, ora ai sui occhi si presentava una campagna altrettanto sacra ma con una energia diversa.

La strada si snodava tra le colline: si saliva, si scendeva e ad ogni curva appariva un nuovo paesaggio nel grigio della natura a riposo in quei giorni freddi in cui la neve non aveva ancora imbiancato le valli o si era esaurita dopo qualche spruzzata nel tardo autunno.

La sede di Ananda comparve sulla destra all’improvviso, solo evidente a chi la conosceva. Flavio c’era stato solo una volta e per arrivarci si era perso, ma questa volta la memoria e l’attenzione non gli permisero più di sbagliare.

Fu sistemato in una piccola camera singola senza bagno. Gli sembrò molto spartana, ma mentre sistemava la piccola valigia e le poche cose che gli sarebbero servite per la notte avvertì una pace ed un silenzio che non ricordava. Paola aveva la sua piccola stanza come lui; nei loro viaggi dormivano sempre insieme, ma in quel luogo quella separazione gli apparve naturale e giusta.

Paola bussò alla porta e gli disse che ci sarebbe stato un breve intrattenimento di canti nel tempio: poteva andarci con lei e poi starsene per conto suo altrove quando ci sarebbe stata la meditazione. Flavio sapeva cosa era una meditazione e nelle sue ricerche spirituali spesso aveva meditato. A volte con la guida di un insegnante attraverso dei percorsi di riflessione e di ricerca, spesso immerso in una musica adatta. Non gli pesava restare immobile a lungo ma spesso i pensieri, i ragionamenti e soprattutto le sue fantasie avevano trasformato le meditazioni in qualcos’altro: sogni ad occhi aperti conditi da una pesante sonnolenza.

Mentre si recavano al tempio incontrarono molte persone vestite di bianco e alcune di blu. Tutti salutavano con un sorriso e sembrava che l’armonia regnasse ovunque; Flavio ebbe la netta sensazione di essere nel posto giusto.

Quando l’intrattenimento finì si guardò intorno. Molte persone si erano alzate, avevano spostato le sedie sul lato del tempio e se ne erano andate silenziosamente. Altre si erano sistemate sulle sedie o a terra a gambe incrociate; alcuni avevano messo un cuscino sotto i piedi e si erano avvolti nelle coperte blu scuro disponibili per tutti.

Paola gli spiegò che se voleva restare a meditare avrebbe dovuto rimanere immobile al suo posto per tre quarti d’ora e poi sentendo un “aum” da parte di chi guidava la meditazione avrebbe potuto uscire. Flavio fu sicuro di dover restare, non era ne un desiderio razionale ne un senso di dovere verso Paola o verso il luogo: capì che era la cosa giusta per lui in quel momento.

Paola gli portò una coperta che si avvolse attorno al corpo fino a coprire la testa.
Si guardò intorno: il tempio in cui si trovava era una costruzione esagonale sorretta da grandi travi di legno sormontata da una cupola centrale; una lanterna di vetro trasparente si ergeva al centro della cupola. Su di un lato si trovava un altare molto semplice e sopra di esso le immagini illuminate dei cinque maestri. Flavio li conosceva da un punto di vista storico: aveva letto di loro negli scritti di Yogananda, ma nulla di più.

Sopra le immagini più in alto un grande oggetto circolare di vetro blu circondato da un anello d’oro sembrava osservare gli uomini seduti sulla moquette azzurra.

Guardandosi intorno Flavio mentalmente calcolò l’equilibrio della struttura, immaginò come tutto era stato costruito e osservò con attenzione tutti i particolari delle finestre ad arco, della cupola e della lanterna di vetro.

Si soffermò a lungo ad osservare l’occhio di vetro blu e cercò di immaginare le tecnologie che avevano permesso di realizzarlo.

Ascoltò il suono dell’armonium e una preghiera molto semplice che non si senti di condividere. Poi nella penombra chiuse gli occhi mentre i suoi pensieri vagavano e la suo fantasia si scatenava in immagini e ricordi.

Ma lentamente cominciò a sentirsi pervaso da una sensazione inspiegabile di pace e di consapevolezza. Molte volte aprì gli occhi e nella penombra il suo sguardo fu attratto e come magnetizzato dal sorriso e dagli occhi di Yogananda che sembravano guardare proprio a lui. Poi non ebbe più la necessità di aprire gli occhi per avvertire la presenza di quel sorriso.
Entrò in questo modo in una situazione assolutamente nuova per lui. Era perfettamente sveglio e conscio di ciò che gli avveniva intorno: c’era un assoluto silenzio nel tempio, ma avvertiva i sottili rumori della natura esterna. Il suo corpo lentamente cessò di essere, esisteva ma non era lui stesso. Gli sembrò che la sua parte più profonda si unisse con tutto quello che esisteva.

Sentì perfettamente la voce che pronunciava la “aum” dopo i quarantacinque minuti ma non lo riguardava. Quando si svolsero le preghiere di guarigione pronunciò le parole e condivise i gesti: non stava formalmente imitando gli altri, partecipava con tutto se stesso.
Gli sembrava che ogni atomo del legno , della pietra, del vetro, delle persone, delle immagini fosse parte di lui in quel momento mentre gli occhi ed il sorriso di Yogananda entravano nel profondo della sua anima. Uscendo dal tempio avverti il vento fresco che avvolgeva ogni cosa, alzo gli occhi verso il celo nitido e pieno di stelle e fu pervaso da una emozione cosi forte che si mise a piangere a dirotto senza singhiozzi e con le lacrime che gli bagnavano il viso.

Paola si accorse della sua emozione e lo abbracciò.

In quel momento Flavio capì quale era il suo percorso, comprese quale era la divina energia che lo aveva sempre accompagnato per tutta la sua vita e capì di aver riconosciuto quello che gli indiani chiamano il proprio Guru.

Questo è il breve racconto di un momento importante delle mia vita, del momento in cui ho ritrovato me stesso e riconosciuta l’energia divina che mi ha sempre guidato nei momenti facili ed in quelli difficili. Da quel momento apparentemente la mia vita non è cambiata, ma dentro di me il riconoscimento del mio Guru ha reso più gioioso il percorso che devo completare nel corso di questa incarnazione. Senza dimenticare le benedizioni che io e le persone che mi sono vicine hanno ricevuto da questa mia nuova consapevolezza.


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