Il potere di un nome

– “Ancora nulla?” – domandai a Darshan, uno dei ministri di Ananda
– “No! A volte non esce subito, ci vuole un po’ di pazienza” – mi rispose lui.

Era da un po’ che ci pensavo.
Avevo già provato, timidamente, a chiederlo a qualche insegnante e a qualche Gurubhai della comunità di Ananda ad Assisi, ma evidentemente non era ancora il momento.

Sentire la necessità di ricevere un nome spirituale quando si intraprende un sentiero di guarigione, crescita, ed evoluzione interiore, è il segnale che qualcosa è cambiato dentro noi stessi, un passo importante verso la nostra Méta è stato finalmente compiuto. Siamo pronti per incarnare e rendere manifesta la nostra vibrazione originale, quell’essenza presente in ciascuno di noi.

Il potere di un nome

foto@freepik.com; Un nome spirituale è il segnale che qualcosa è cambiato dentro noi stessi

Quando Yogananda entrò nell’Ordine degli Swami, Sri Yukteswar gli fece scegliere il proprio nome.

– “Ti concederò il privilegio di sceglierlo da te!”, disse sorridendo
– “Yogananda!” – rispose il Maestro dopo un momento di riflessione

La scelta del nome spirituale per il giovane Mukunda, segnava un passo importante nella sua vita monastica: poterlo scegliere da sé, fu un grande privilegio concessogli da parte del suo Maestro, che riconosceva il suo profondo livello di consapevolezza, e con esso, la capacità di percepire da solo la propria essenza.

Nel 2019, sono diventata discepola di Yogananda e nel gennaio del 2020, proprio nel giorno del suo compleanno, ho ricevuto l’iniziazione al Kriya yoga.

La prima volta che venni ad Ananda, nell’ormai lontano 2011, fu per seguire un corso di Art therapy, con Dana Lynne Andersen.

Sono docente di Disegno e Storia dell’Arte in un liceo scientifico, oltre che essere artista, (dipingo ed espongo le mie opere, riscontrando un discreto successo), e da molto tempo mi interesso alle terapie alternative.
Dopo essere passata attraverso diverse esperienze olistiche e avere vissuto tre anni in India da Sathya Sai Baba, il mio rapporto con la spiritualità è cominciato proprio quí, quando ho capito che Paramhansa Yogananda è il mio Guru, e con Lui, tutta la linea dei Maestri del Kriya yoga.
Avevo già letto l’“Autobiografia di uno Yogi” e sentii subito che ogni parola scritta nelle pagine di quel libro era giusta, mi risuona interiormente e profondamente. Il Destino aveva già ben chiaro e definito quello che era il Disegno voluto dai Maestri, e così qualche anno dopo, una mia amica, terapeuta olistica, mi parlò di Ananda.

Devo molto a Sai Baba, ma avevo sempre saputo che Lui non era quello che cercavo, pur essendo stato, per me, la rappresentazione dell’Amore incondizionato, la personificazione del suo motto “Love All, Serve All”, (Ama Tutti, Servi Tutti), ma è stato quando sono arrivata nella comunità di Assisi e ho conosciuto gli insegnamenti yoga-cristiani di questa linea spirituale, che per me è veramente cominciato il risveglio e ho trovato il mio Sentiero.

Nel luglio di quest’anno, ero ad Ananda per seguire un corso sulla spiritualità applicata alla vita quotidiana. Il mio anno lavorativo, che per me si manifesta in “anno scolastico” era stato di fuoco, trasformante.

Ogni mattina, mi sveglio alle 5, svolgo le mie pratiche spirituali, mi creo la mia “armatura” per affrontare la mia giornata, faccio colazione, mi preparo, ed esco di casa dando un ultimo sguardo verso il mio “altare”, Il potere di un nomeche non è altro che un grazioso spazio ricavato tra le scaffalature della mia libreria: osservo la foto del mio Guru, come se me lo volessi portare con me: – “Maestro! Andiamo a scuola!” – dico dentro di me.

In questi anni, qualche nube oscura dentro di me si è dissolta, la mia vera Luce ha cominciato ad emettere qualche debole raggio. Nel frattempo, le sfide da affrontare sono diventate più difficili, la necessità di manifestare la mia originale essenza, oscurata dall’oblio che ci accompagna dalla nascita su questo piano terreno, si è fatta sentire ancora di più, e così, durante la mia permanenza estiva di questo 2023, passato come se fossi stata forgiata dagli strumenti incandescenti di un fabbro, chiesi a Darshan se mi poteva aiutare a trovare il mio nome spirituale, e lui accettò con gioia.

– “Devo meditare e poi ti farò sapere” – mi disse

I giorni passavano, ma non si muoveva nulla, nessuna novità.

– “Possibile che io non abbia un nome?” – mi dicevo.
– “Tutti ce l’hanno! Tutti noi siamo connessi ad una vibrazione, o ad una forma geometrica sacra, che ci distingue e ci rende unici, è la nostra matrice originaria, quella proveniente dalla Fonte o da Dio!” –

Ci viene dato un codice di riconoscimento quando veniamo su questo pianeta: il nostro nome di battesimo. Veniamo registrati all’anagrafe e da quel momento, per la società, esistiamo.
Giorno dopo giorno, ce lo sentiamo addosso, come una seconda pelle. I nostri corpi, simili a contenitori d’acqua, (conteniamo un 70% di liquido), registrano il suono che socialmente ci identifica.

Il potere di un nomeC’è un termine giapponese che definisce la connessione tra le vibrazioni degli stati emotivi dell’essere umano con quelle del flusso dell’acqua. Si chiama “Hado”, che significa: “Cresta dell’onda.”
Si tratta esattamente dell’increspatura che si forma, come una corrente, un moto ondoso, nel momento in cui si incontrano le due energie.
Famosi sono gli esperimenti dello scienziato giapponese Masaru Emoto, che sottopose l’acqua a stimoli positivi e negativi, la congelò, e si accorse che essa memorizzava la vibrazione.
Una parola come “Pace” poteva cristallizzare configurazioni armoniche e bellissime simili ai fiocchi di neve.
Confusi ed informi, erano invece quei cristalli stimolati da parole non positive.
Potevano essere parole scritte, applicate sul vetro dei contenitori, come se l’acqua le “leggesse,” ma potevano essere anche vibrazioni musicali, come quelle della musica classica o dell’heavy metal, oppure, voci registrate con parole gentili o scortesi.

– “Ma perché vorresti cambiare il tuo nome? Serena è così bella!” – mi diceva qualcuno.

I miei genitori mi hanno messo un nome che emana positività, benessere, e sono grata per questo e per le loro intenzioni, ma nella mia vita, sono stata tutt’altro che serena, e questo nome, purtroppo, è associato a me a tanta tristezza; così, ricevere un nome spirituale, nel mio caso, significa chiudere con una parte del mio passato, ormai guarita.

Finalmente, una mattina, mi arrivò un messaggio sul cellulare:

– “C’è un nome per te!” –
– “Mentre meditavo, ho avvertito di te un lato giocoso, che mi ha ricordato i gopi che circondano Krishna che, suonando il flauto e danzando con loro, trasmette profondi insegnamenti attraverso la leggerezza” – disse Darshan, quando ci incontrammo.

-“Il tuo nome è Krishnabhai!” – annunciò.

– “Essa, non deve essere confusa con la superficialità, ma piuttosto, come capacità di far comprendere concetti importanti a più persone possibili, attraverso la gioia” – specificò Darshan, proseguendo nell’esposizione.
– “Ti piace?

Nell’ “Autobiografia di uno Yogi”, c’è un capitolo dedicato al Santo Bhaduri Mahasaya, che era famoso perché levitava.
Non usciva mai di casa, aveva un seguito di discepoli, ai quali impartiva gli insegnamenti dei testi sacri.
Scrive Yogananda, che lo andava a trovare spesso, che il Santo era al tempo stesso molto divertente, il suo umorismo trapelava dalla sua saggezza.
Riflettei sul, mio modo di fare didattica, al mio rapporto con i ragazzi, che in quelle giornate di pausa estiva, continuavano a scrivermi, a mandarmi foto se si trovavano in visita a un museo, oppure anche soltanto per un saluto: tutti segnali di un rapporto positivo, costruito all’interno delle aule giorno dopo giorno, per non parlare di quei “vecchi” studenti che a distanza di anni sono diventati amici, frutto della volontà di rendere le mie ore di lezione leggere e piacevoli …

– “Sì! Krishnabhai mi sta bene! Mi ci ritrovo e mi piace!” – gli risposi

Krishnabhai significa: “fratello di Krishna”, nello specifico, per me: “sorella”.

Diwali

In India, nei primi giorni di novembre si festeggia il Diwali: sono cinque giorni di festeggiamenti dedicati alla vittoria della Luce sull’Oscurità
Nell’ultimo giorno, si festeggia il “Bhai doji”: fratelli e sorelle rinnovano le promesse di onorarsi e proteggersi a vicenda, condividendo il cibo.

Il secondo giorno, è dedicato a Krishna.

I miei ricordi tornarono al novembre del 2002: mi trovavo in India, ero gravemente ammalata, mi trovavo in fin di vita. Il mio compagno, che sarebbe diventato mio marito, mi assisteva costantemente, con dedizione e amore
Malgrado le cure e l’assistenza che ricevevo, mi sentivo sempre più debole, non riuscivo neanche a stare in posizione seduta e avevo perso l’autonomia per fare ogni cosa.
Sentivo che avrei potuto non farcela, cominciai a preparare il mio fidanzato a questa eventualità; sopra di me vedevo un’aquila ad ali spiegate, forse era il modo di elaborare visivamente il concetto di morte da parte della mia mente.
Il mio compagno, non si perdeva d’animo. Tra le lacrime, progettava il nostro futuro insieme e mi rendeva partecipe di questo.
Ad un certo punto, dopo giorni di sofferenza, improvvisamente mi sentii meglio, avevo energia, mi misi seduta sul letto, ebbi voglia di una tisana e accesi un incenso.
Mi alzai in piedi, andai sul balcone, era sera.
Per strada la gente stava festeggiando: uno scoppiettio sfavillante di gioia, petardi e mortaretti. Alzai lo sguardo verso il cielo: i fuochi d’artificio illuminavano e coloravano l’atmosfera. Il mio compagno era con me, mi raccontò che stavano festeggiando la vittoria di Krishna sul demone Narakasura.
Aveva vinto la Luce sull’Oscurità, aveva vinto il Bene sul Male, e io…. avevo appena vinto sulla morte.
Ma ora so che non avevo fatto tutto da sola, ero stata aiutata, esattamente come fu per Krishna, che venne aiutato dalla Dea Kali durante il combattimento con il demone.
Ora so che Egli era presente nella mia esistenza già da allora.

Vengo da una famiglia prevalentemente femminile e matriarcale, sono stata la piccola di casa, ho due sorelle gemelle maggiori, ho una figlia e ho pianto di gioia quanto ho saputo che era femmina, era ciò che desideravo … ma ora so che ho anche un fratello.

Nel quinto giorno del prossimo Diwali, onorerò il mio fratellone, e Lui mi rinnoverà la promessa di proteggermi, come (a quanto pare), ha sempre fatto

– “Tra tutte le Gopi, tu sei quella che stai più nascosta, perché di te, avverto che vivi la tua devozione come se fosse un segreto!” – disse Darshan, – “Ma per quanto tu possa restare riservata, il Signore Krishna sa sempre dove sei, Lui sa sempre dove trovarti!” – concluse.

Non vivo la mia spiritualità come qualcosa da ostentare, insegno una materia che ha una natura trasversale: mentre spiego un’opera d’arte, parlo anche di altre cose, so che ho l’opportunità di divulgare e piantare qualche seme parlando a gruppi di 25 persone in età adolescenziale. È la quarta volta che con gioia mi compro l’Autobiografia di uno Yogi, perché a quegli alunni a cui l’avevo dato in prestito, mi hanno chiesto se potevano tenerlo.
Da diverso tempo, ho capito che l’aula scolastica è la mia postazione per poter fare la mia parte, se voglio fare la differenza la svolgo lì dentro. Ogni giorno cerco di fare del mio meglio, e non è sempre facile con persone in crescita veloce e costante: occorre stare al loro passo se si vuole esserci, occorre fluidità, essere scorrevoli come l’acqua nel letto dei fiumi.
I miei “letti del fiume”, sono i miei Maestri: Yogananda, Babaji e Krishna, in Essi, imparerò a scorrere, a essere ancora più fluente, a muovermi con leggerezza nelle relazioni interpersonali, quella leggerezza che ha il mio Divino fratello nel fare qualsiasi cosa, sicuro e saldo nella sua saggezza e nella sua innata maestria. Ho ancora tanto da imparare, il mio nuovo nome, mi ha solo indicato la direzione da percorrere, ma so che non sarò da sola a fare tutto il percorso:

SÌ, sono qui, ci sono sempre stato, mi disse Babaji, mentre meditavo, – Ero sempre io, anche se avevo un altro nome. Così mi disse Egli, riferendosi alla sua incarnazione precedente: il Signore Krishna.

Krishna e le Gopi

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