I pellegrini raccontano le loro storie – Parte 3: Varanasi
Dhuti: Essere a Varanasi era senza tempo, con Ma Ganga che trasportava innumerevoli eoni di anime sulle e nelle sue acque sacre – sembrava che fossimo congelati nel tempo. Camminando nei passaggi, mi aspettavo di vedere Sri Yukteswar alla fine di un vicolo, o Lahiri che tornava dal suo bagno quotidiano nel fiume, o Mukunda che facega una commissione al mercato. Il caos non mi disturbava, sembrava naturale
Giampi: Varanasi mi ritorna spesso in mente, chiudo gli occhi e rivedo i fotogrammi colorati come un film..le persone, gli animali, i teli stesi sui gradini ad asciugare su quelle pietre del lungo Gange levigate dal passaggio di migliaia..quanta vita che inizia e finisce lì, il fiume scorre calmo..pieno di preghiere e devozione e in quel punto dove c è l’ ashram di Ananda Mai Ma, la corrente va verso Nord e riguarda l’Himalaya dove è nato.
Ricordo perfettamente la salita ripida dal ghat per arrivarci, bellissimo meditare lì, su quel terrazzo, ormai abituato a convivere con il caos e il fluire della vita Indiana, potevo raggiungere per molti momenti una profonda pace meditativa,
sento ancora il motore delle barche lente in lontananza, e quando brevemente aprivo gli occhi..vedevo una luce soffusa arancio, dorata sul fiume e gli occhi pieni di compassione e luce divina dalla sua foto.
L’Ashram di Lahiri Mahasaya a Varanasi
Gloria: Un piccolo Ashram a Varanasi del grande Maestro che ha dato nuova vita al KriyaYoga. Questa scritta attaccato ad un muro esterno , mi ha fermata e catturata col suo profondo significato di Silenzio, di Tutto e Nulla. Devi passarci davanti per andare a reverire le sacre ceneri del Maestro Lahiri Mahasaya.. Sito di grande energia. Un’amica appena tornata da Varanasi, ci ha raccontato come gli è stato suggerito di mettere la testa dentro il foro dove sta’ lo scrigno con le ceneri di Lahiri, che poteva ascoltare il suono dell’Aum. Per ben 2 volte, ha messo la testa dentro, sentendolo. Miracoli inspiegabili
“Non c’è niente da accettare,
niente da rifiutare,
niente da dissolvere!
Niente a cui attaccarsi, Niente da lasciar andare.
Niente da dissolvere!
Questa è la Verità.
Non c’è niente da afferrare,
Niente da disprezzare,
Niente da dissolvere!
Questa è l’ intera Verità.
Non c’è niente da abbracciare,
Niente a cui rinunciare.
Libero dall’attaccamento, Libero dal desiderio.
Immobile,
Libero, sono io. “L’Uno vero”.
Com’è meraviglioso!
Ma in questo me,
Non c’è niente da abbracciare,
Niente da allontanare.
Quando non c’è questo
Scadente piccolo
“Io”,
c’è libertà.
Quando c’è ” Io” c’è schiavitù.
Consideralo. È facile.
Tu sei il chiaro Spazio di consapevolezza.
Puro e immobile, Senza limiti e libero, Sereno e imperturbato.
In cui non c’è nascita, Non c’è morte.
Nessuna attività mentale,
Non c’è “Io”.
Sappi di essere libero. Per sempre e veramente libero.
Libero dall'”Io”, Libero da ” Mio”.
Quando sai questo nel tuo cuore,
che non c’è niente,
sei immobile dentro.
Perché sei finito.”
Dall’ “ASHTAVAKRAGITA”
La casa di Lahiri Mahasaya a Varanasi
Madri: La prima volta che siamo venuti a Varanasi, non siamo riusciti a trovare la casa di Lahiri Mahashaya.” Con queste parole una compagna di viaggio mi stava raccontando la sua esperienza alla visita della casa del grande capofamiglia. “Poi un bambino è arrivato e ci ha detto che lui sapeva dove fosse situata e che ci avrebbe accompagnati.”
Così fu, il marito e lei seguirono titubanti e dubbiosi quel bambino che, comparso dal nulla, li condusse proprio davanti alla porta della dimora del Maestro.
E la mia compagna di viaggio aggiunse sorridendo: “Quel bambino era un angelo venuto in nostro aiuto.”
Noi, pellegrini, ci stavamo allontanando dalla via dove aveva vissuto Lahiri Mahasaya ed eravamo ancora in uno stato elevato di coscienza, in cui i piedi non toccavano terra e tutto sembrava pervaso da un onda di potere spirituale e di gioia, le vie intrise di odori acri, di botteghe, di animali e di motocicli si susseguivano alla nostra vista; con uno slalom deciso procedemmo felici verso il ghat, dopo aver ricevuto il darshan di questa porta centenaria.
Questa volta era stato facile trovarla. A colpo sicuro, in una mattinata di metà febbraio, imboccato il quartiere mussulmano di Varanasi, un gruppo di quaranta pellegrini, si trovava in piedi di fronte ad una porta sgangherata, l’unico elemento visibile al pubblico della casa di Lahiri Mahasaya e di Kashi Mouni, sua moglie.
Eravamo giunti nel luogo dove il grande Maestro aveva accolto il piccolo Mukunda ancora in fasce e aveva predetto il suo futuro, come locomotiva spirituale che avrebbe condotto migliaia di anime a Dio. Era qui che anche Sri Yukteswar e Babaji erano soliti far visita allo Yogavatar (incarnazione di yoga).
Intonando canti e preghiere trascorremmo più di un’ora immobili, come se fossimo un unico organismo che respirava all’unisono, concludendo la visita con una lunga meditazione appiccicati alle pareti della stretta via.
A turno ognuno di noi si prostrava alla porta, toccando con la fronte e le mani le sacre ante di legno scolorito. L’occhio esteriore poteva vedere questo edificio abbandonato, ma l’occhio interiore coglieva la forza che usciva da dietro l’entrata della porta. Centinaia di devoti, di Kriya yogi, ad ogni ora del giorno e della notte erano entrati ed usciti da quel passaggio di legno dove la vita mondana finiva e si apriva un mondo fatto di amore, di guida spirituale, di beatitudine, di realizzazione e di presenza divina.
Quel giorno toccava a noi giungere alla porta del Grande Maestro. Con commozione e gratitudine, immobili ad occhi chiusi, sostavamo in quel luogo sacro, sostenuti dalla presenza di Lahiri stesso, che ci accoglieva con un grande sorriso.
Persone di ogni età, ceto sociale, scorrevano davanti ai nostri occhi, alcuni rallentarono il passo, e con un gesto di devozione toccavano la porta sacra, un tocco veloce, quasi impercettibile agli occhi umani, per poi proseguire velocemente e sparire in fondo alla via.
Nella meditazione a volte la mente ritorna in quel luogo, un profumo di incenso pervade l’aria, la luce è forte e intensa, posso oltrepassare la soglia, la porta è senza catenaccio, se spingo posso entrare…
Chissà se un giorno quella porta si aprirà di nuovo e la casa, da dove tutto è iniziato, il sentiero del Kriya yoga per i capifamiglia, per tutti coloro che sinceramente cercano Dio, ritornerà ad essere un luogo vivo, dove recarsi per meditare è respirare le vibrazioni del nostro grande Padre, Lahiri Mahashaya.
Gita in Barca a Varanasi
Suryani: Varanasi Antico nome della città indiana di Benares conosciuta anche come o Kashi è uno dei luoghi più ispiranti dell’India, è un luogo magico che ad un primo impatto ti può scioccare ma se fai un profondo respiro e ti butti nella sua energia scopri qualcosa di veramente unico e ispirante.
Nel nostro pellegrinaggio abbiamo trascorso tre giorni in questa città ricca di storia, tradizioni, usi e consuetudini.
Varanasi è il luogo della felicità e della morte, è il luogo sacro dell’Induismo.
Qui i fedeli vengono a purificare il loro karma oppure a morire per raggiungere la moksha, la liberazione del ciclo della reincarnazione. Gli indù infatti credono che la morte in questa città porterà loro la salvezza.
La città è un importante centro di pellegrinaggio ed è conosciuta in tutto il mondo per i suoi numerosi Ghat, argini realizzati in gradini di lastre di pietra lungo la riva del fiume dove i pellegrini eseguono le rituali abluzioni.
Una delle avventure più belle che ho personalmente vissuto è sicuramente stata la gita in Barca che costeggia i ghat di Varanasi.
Abbiamo fatto un primo viaggio sul Gange per raggiungere l’ashram di Swami Trailanga, il santo descritto nell’autobiografia di uno Yogi. Lungo il viaggio mi sono meravigliata dell’energia che trapela da questa città, è come se tu guardassi un dipinto statico che ti vuole parlare e raccontare le molteplici storie che l’hanno vissuta. Ogni angolo ha una sua particolare vibrazione e bellezza e non riesci a staccare lo sguardo da questa moltitudine di colori, profumi e di scene di vita.
Nel viaggio di ritorno ci siamo fermati in uno dei Ghat principali dove ogni giorno si compie uno speciale Arathi, noi rimaniamo sulla barca, quindi è impossibile vedere tutto nel dettaglio ma l’atmosfera è proprio idilliaca, le luci soffuse, una leggera nebbiolina di fumi e una musica che si diffonde su tutto il Gange ed intrattiene centinaia di persone. Purtroppo la magia dell’arathi si conclude dopo circa 20 minuti ma questa è un’esperienza che rimarrà per sempre impressa nella nostra anima e ci spingerà a cercarla ancora vita dopo vita.
Tempio di Shri Kashi Vishwanath
Atul: Con un filo conduttore di amore e benedizioni da parte del Maestro, di Ananda Moyi Ma e della Madre Ganga, Varanasi era per me la dimostrazione più chiara della natura impermanente e duale della vita. Una mattina, mentre ci dirigevamo all’ashram di Ananda Moyi Ma, mi fermai un attimo per catturare una scena dell’alba sul Gange. Guardando la foto di quella scena, mi ricordo di come l’acqua si fondeva con il cielo, rendendo l’orizzonte quasi indistinguibile, e di come il sole poteva essere percepito come la luna, offuscando le linee della realtà in un altro senso.
Data la natura antica di Varanasi, non mi sarei mai aspettato di passare del tempo in un bar moderno in questa città. Ma con un’insegna lungo il ghat che diceva “Il vero percorso verso la consapevolezza della caffeina”, il Sol Cafe mi attirò facilmente nel nostro giorno libero. Trascorsi alcune ore lì, godendomi qualche cappuccino mentre guardavo dalla finestra il flusso di persone che passeggiavano lungo il ghat. Alla fine, decisi di chiedere alla proprietaria del bar, che sembrava ben informata, dove potevo “trovare un posto tranquillo per meditare”. La sua risposta iniziale fu una risata di cuore. Ma poi mi disse di andare molto più a nord lungo il ghat, dove avrei trovato templi e ashram meno popolati.
Mentre iniziavo la mia passeggiata lungo il ghat, decisi di salire i gradini del Tempio Shri Kashi Vishwanath. In cima ai gradini, scoprii una sorta di area aperta sul tetto che dava sul ghat e sul Gange. Non c’erano molte persone intorno, e c’erano panchine sparse per il terreno pulito e semplice. Scelsi una panchina per mettermi comodo, e anche se non era del tutto silenzio puro o quieto, era “abbastanza tranquillo” rispetto ad altri luoghi in cui eravamo stati. Dopotutto, come ormai avevo imparato, “tranquillo” era un termine relativo in India.
La panchina sul tetto del tempio si rivelò essere il posto giusto per una lunga e profonda meditazione, durante la quale pregai il Maestro per avere guida e garanzia della sua presenza. Il Maestro rispose certamente alle mie preghiere durante la meditazione, e mi alzai dalla panchina con un profondo senso di gratitudine e una presenza amorevole nel mio cuore. Successivamente, tornai ai gradini dell’ingresso del tempio e mi sedetti a gustare alcuni snack, mentre osservavo la folla di persone che entravano e uscivano dal tempio. Era già iniziata la sera, e il flusso di persone in cerca di darshan era aumentato notevolmente.
Mentre pensavo al ritorno in hotel, una versione particolare di “Om Namah Shivaya” iniziò a suonare ad alto volume dagli altoparlanti del tempio. Trovai il canto piuttosto “incantevole” e decisi di rimanere sul tetto a cantare e guardare la scena sotto lungo il ghat, che era pieno di persone… molti che si facevano selfie, alcuni semplicemente passeggiavano, alcuni cantavano insieme alla musica, alcuni ballavano, alcuni mangiavano, alcuni chiedevano l’elemosina, alcuni vendevano souvenir, alcuni accarezzavano i cani randagi, alcuni scacciavano i cani randagi, alcuni facevano un giro in barca lungo il Gange, e alcuni venivano cremati. Le cremazioni a vista mi colpirono davvero, e mi chiesi come fosse possibile che tutte queste persone stessero vivendo la loro vita quotidiana come se nulla stesse fosse mentre accanto a loro si stavano cremando delle persone? Era una scena diversa da qualsiasi altra avessi mai visto, e mi fece mettere in discussione tutto. Era una scena che aprì le porte dentro di me per un profondo desiderio di Dio.
Mentre “Om Namah Shivaya” continuava a risuonare dagli altoparlanti, continuai a cantare sul tetto con questo desiderio dentro di me. Dopo circa 20-30 minuti con il canto in ripetizione, la musica finalmente si fermò, e alcune luci colorate si accesero direttamente davanti al tempio (proprio di fronte a me dall’altro lato del tetto). Dopo un’occhiata più da vicino, scoprii che le luci stavano proiettando un film/show sulla facciata anteriore del tempio. Mentre scendevo verso la parte anteriore del tempio per vedere lo spettacolo, non ci volle molto per ricordarmi come il Maestro descrivesse la vita come un film manifestato dalla proiezione della coscienza di Dio. Sentii che questo spettacolo proiettato era il Maestro che rispondeva al mio desiderio, con un amorevole promemoria che tutto questo è il dramma di Dio, e che questa scena a cui stavo assistendo era semplicemente una manifestazione del Suo gioco divino, proprio come il resto della vita. Nient’altro.
Per rendere le cose ancora più chiare, lo spettacolo proiettato riguardava il Signore Shiva, conosciuto come Il Distruttore all’interno della Trimurti.
Lo “spettacolo di Shiva” durò circa 5-7 minuti, e si ripeteva circa ogni 20-30 minuti durante la sera, con il canto “Om Namah Shivaya” a risuonare tra uno spettacolo e l’altro, mentre la vita quotidiana lungo il ghat continuava. Rimasi per un paio d’ore a cantare, guardare lo “spettacolo”, e semplicemente prendere tutto in considerazione. L’intera esperienza mi sembrava surreale, ma immagino che fosse proprio questo il punto del Maestro. Mettendo in piena mostra la natura impermanente e duale della vita, le linee della realtà si erano sfocate per me momentaneamente, ricordandomi che tutto questo è il Lila di Dio.