Dal piacere alla beatitudine

La beatitudine è ciò che rimane dopo che ogni qualificazione di alti e bassi emotivi è stata rimossa. – Swami Kriyananda, Le rivelazioni di Cristo

«Siamo tutti, instancabilmente, alla ricerca del piacere», avrebbe detto a proposito di sé e dei suoi simili Sigmund Freud. Probabilmente si riferiva agli aspetti biochimici dei desideri emotivi e fisici.

¹ I folletti hanno il compito spiacevole di controbilanciare i nostri piaceri con altrettanti dolori!

Dai tempi di Freud sono state fatte importanti scoperte nel campo della neuroscienza del piacere, la più importante delle quali è il ruolo della dopamina, un neurotrasmettitore responsabile della creazione della sensazione di piacere nel cervello e, in sua assenza, della sensazione di dolore. Nel suo affascinante libro L’era della dopamina, Anna Lembke spiega il principio dell’omeostasi, basato sulla scoperta del fatto che, nel cervello, i centri del piacere e del dolore sono gli stessi. L’autrice spiega come il rilascio di dopamina, innescato da attività che inducono piacere, stimoli la produzione di altre sostanze nella stessa regione cerebrale – sostanze che lei chiama scherzosamente “folletti” – che ristabiliscono l’equilibrio (omeostasi), generando una sensazione di dolore.

Se cerchiamo di contrastare il dolore ricercando un piacere più intenso, indotto dalla dopamina, ci ritroviamo a girare sulla giostra della dipendenza. Ma non si tratta di un passaggio gratuito: il prezzo da pagare è la nostra stessa felicità.

Questo meccanismo biologico riflette un principio filosofico antico: il dvaita, ossia il principio della dualità che, secondo la filosofia dello yoga, governa il mondo materiale.

² Accettare il dolore come purificazione; studio delle scritture e introspezione; apertura alla volontà divina e alla sua guida, e accettazione di esse: questi costituiscono la pratica dello yoga.

“Dietro ogni rosa di piacere si nasconde un serpente a sonagli di dolore”, si legge nelle antiche scritture indiane. La meditazione è stata a lungo descritta come la via per trascendere quella che Yogananda chiama “l’angosciante monotonia del mondo” e accedere a uno stato di beatitudine in graduale espansione.

La filosofia, ovvero la ricerca della saggezza, e la psicologia, ovvero lo studio dei nostri attuali stati di coscienza, non sempre procedono di pari passo. La filosofia può talvolta sembrare un’imposizione di verità astratte, prive dell’autenticità dell’esperienza vissuta. Al contrario, lo stato psicologico di un individuo può diventare stagnante senza l’ispirazione della saggezza, di cui l’umanità ha un bisogno innato, afferma Yogananda.

Quando la filosofia e la psicologia si uniscono, la nostra vita assume una dimensione più profonda, non necessariamente religiosa, ma spirituale. La filosofia si intreccia con la nostra psiche, invece di rimanere una dottrina imposta dall’esterno.

Non è sorprendente che un principio filosofico che ha guidato sinceri ricercatori della verità nel corso della storia trovi le sue radici proprio nella chimica del cervello umano?

Anche la forza di volontà, che Yogananda considera essenziale per la crescita spirituale, ha origine nel desiderio. Yogananda la definisce come desiderio + energia diretta verso la realizzazione. Quando scegliamo consapevolmente di soddisfare la nostra innata fame di saggezza, possiamo passare dall’essere instancabili cercatori di piacere ad instancabili cercatori di beatitudine. Il ciclo subconscio e passivo di piacere e dolore può essere gradualmente sostituito dalla beatitudine superconscia, un’esperienza che trascende i modelli comportamentali meccanici condizionati dalla chimica del cervello e che esiste al di là della dualità creata da dolore e piacere.

Per concludere, esaminiamo alcune lezioni chiave sull’equilibrio tratte da L’era della dopamina, e le loro connessioni con la filosofia yoga e con la meditazione:

  • la guarigione dalla dipendenza inizia con l’astinenza. Ciò è in linea con il principio yogico della tapasya, che Sri Yukteswar descrive come “santa pazienza” – la volontà di sopportare consapevolmente un disagio temporaneo nella meditazione e nell’autodisciplina. Dice anche che questa pratica purifica i nostri corpi sottili. Lembke spiega che l’astinenza resetta il sistema di ricompensa del cervello, ripristinando la nostra capacità di trovare gioia nei piaceri semplici. Nella filosofia dello yoga, il ritrovo di questa gioia, libertata dalla dipendenza dei piaceri, non è solo un effetto collaterale: è un fine in sé.
  • L’onestà totale favorisce la consapevolezza, migliora l’intimità e coltiva una mentalità di abbondanza. Ciò corrisponde alla pratica spirituale del satya (veridicità). Dobbiamo riconoscere pienamente il nostro attuale stato di inconsapevolezza prima di fare il primo passo per uscire dall’arido deserto della dipendenza dal mondo.
  • Invece di fuggire dal mondo (attraverso dipendenze di ogni tipo), possiamo fuggire immergendoci in esso. Lembke fa l’esempio di un paziente che ha superato la dipendenza da cannabis fotografando la natura. La concentrazione richiesta da questa attività lo ha portato ad uno stato di quiete interiore, in cui ha completamente dimenticato ogni bisogno secondario. Questo è parallelo all’insegnamento yogico del samyama, l’assorbimento totale in ciò che viene percepito. Questo stato ci arriva man mano che le nostre meditazioni diventano più lunghe e profonde. Porta libertà dalla dipendenza, poiché la nostra capacità di vedere il mondo dall’interno dona una soddisfazione duratura

Soprattutto, aggiungerei questo: cerchiamo di soddisfare la vostra innata fame di saggezza! Più i nostri piaceri saranno spiritualizzati, meno dovremo sperimentare i loro dolorosi opposti. Il piacere tornerà quindi alla sua fonte originaria: la beatitudine.

source: canva

  • ¹ ² Fonte delle immagini: L’era della dopamina, Anna Lembke
  • Nota: Tutte le immagini e le informazioni di L’era della dopamina sono pubblicate con il permesso dell’autrice Anna Lemke.

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