Riflessioni sulla forza interiore – parte terza

L’avversione al dolore sembra radicata in tutti gli esseri viventi.  Persino qualcosa di primitivo come un verme, osserva Swami Kriyanada, se viene punto con un oggetto appuntito si dimena. Se la sofferenza è così universalmente detestata, perché una vita edonistica è spesso rovinosa? Perché l’enormemente ricco Howard Hughes, dopo aver trovato il successo in innumerevoli imprese commerciali, non è riuscito a trovare, per sua stessa ammissione, la felicità?

Il sentiero spirituale mi chiamava in un mondo apparentemente fatto di dolore. La mia formazione buddista sottolineava che gran parte della vita è fatta di sofferenza; quindi, se le difficoltà erano inevitabili, la cosa più responsabile da fare, pensavo, era aspettarmi che la tragedia mi potesse colpire in qualsiasi momento.

Quando ottenevo un nuovo lavoro, iniziavo subito a rispolverare il mio curriculum. A colazione pensavo già al pranzo. Preparandomi, avrei superato tutte le possibilità di provare dolore, da un capo sgradevole ad un pasto insoddisfacente.

Questo tentativo perpetuo di sfuggire anche ai disturbi più lievi mi logorava e io, insieme alla mia schiera di giovani amici urbani, non vedevo nulla di male nel ricorrere all’alcol e alle droghe per trovare sollievo. Alla fine, però, il dolore mi raggiunse. Mentre alcuni si ammalavano fisicamente, la mia lotta era un’agonia mentale. Mi mancava qualcosa; non sapevo cosa, ma diventavo sempre più disperato.

Riflessioni sulla forza interiore - parte terza

Mi mancava qualcosa…

Ho ricevuto il Kriya dopo poco più di un anno a partire dalla scoperta di Ananda. “È piuttosto veloce“, mi disse un insegnante mentre chiedevo dove ricevere l’iniziazione. “Non c’è fretta“.

Non avrei potuto essere più in disaccordo. Mio padre ebbe un ictus e io mi trovai inaspettatamente ad essere il suo principale assistente. Da bambino non era stato molto facile avere a che fare con lui e, sebbene il nostro rapporto fosse ampiamente migliorato quando ero diventato adulto, non avrei mai pensato che mi sarei preso cura di lui a quel livello. Ero stato un maniaco del lavoro, ma ora la mia carriera era in crisi. Sembrava che nella mia vita non mancasse il dolore, e contavo sul Kriya per migliorare tutto.

Mio padre morì circa un mese prima che io ricevessi il Kriya, e subito dopo lasciai il lavoro. Ormai ero un essere spirituale e non avevo più bisogno di tutto quello che c’era stato prima. Mi trasferii dalla capitale in una piccola città, e aprii un centro dedicato agli insegnamenti di Yogananda.  Suonavo a ripetizione la canzone di Swami Kriyanada, “Go On Alone”.  Non volevo avere più nulla a che fare con il mondo transitorio e terribile.  Il resto della mia vita sarebbe stato dedicato solo a Dio.

Ma in breve tempo mi ritrovai di nuovo nella metropoli, a frequentare luoghi familiari. Il lunedì tornavo al centro per offrire lezioni (in altre parole, per “lavorare”) e il fine settimana era dedicato alo svago.  Visto che passo la maggior parte della settimana a servire la Madre Divina, mi dicevo, che male c’è a rivendicare il fine settimana per me? Mi stabilizzai in questo ritmo, cercando di non notare la sua somiglianza con lo stesso stile di vita angosciante che mi aveva spinto a lasciare la città.

Poi, all’improvviso, la pandemia mandò la Thailandia in isolamento. Non c’era niente di aperto, non c’era motivo per andare da nessuna parte e, finalmente, non c’erano più scuse: Avrei usato questo tempo per praticare seriamente e forse, pensavo, l’illuminazione sarebbe stata dietro l’angolo.  Ero nervoso, ma stranamente eccitato.

L’eccitazione che provavo si trasformò in una sorda delusione quando mi resi conto che la mia meditazione durava al massimo alcuni minuti, e non giorni. Il mio massimo era un pallido confronto con quello che pensavo potesse fare un devoto sincero. C’erano meditazioni occasionali in cui andavo molto in profondità, ma nella maggior parte dei casi ero scosso da distrazioni, dubbi e persino dolore. Spesso, dopo aver meditato, mi precipitavo su internet per controllare se il mondo fosse imploso. Mi dicevo che mi tenevo informato in caso di emergenza, totalmente ignaro del fatto che stavo spegnendo ogni bagliore post-meditativo con una nebbia dolorosa e ossessiva.  Deluso dai miei mancati progressi, cercavo di rassicurarmi con le tragedie così facilmente reperibili sul web.  L’infelicità ama davvero la compagnia.

Ma non tutto era perduto. I kriyaban si incontravano regolarmente on-line per meditare, pregare e partecipare a sessioni di domande e risposte con gli insegnanti più anziani. Chi avrebbe mai immaginato che internet potesse essere un luogo di conforto e di guarigione? Invece di nutrirmi di negatività virtuale, ora avevo una scelta molto più reale e appagante.

Ho scoperto che non essere un discepolo perfetto è una ragione perfetta per continuare a provare. Con questa nuova prospettiva, ho puntato ad una pratica regolare e sostenibile, piuttosto che a una guerra totale contro il mio ego. Non dovevo capire come arrivare immediatamente alla libertà in Dio. Piuttosto, è molto più importante osservare la direzione di marcia e correggere la rotta, se necessario, per non cadere sul sentiero.

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Ho capito che è meglio fare questo sforzo costante con un cuore impegnato, ma rilassato…

Ho capito che è meglio fare questo sforzo costante con un cuore impegnato, ma rilassato. Quando gli chiesero come prendere la decisione giusta in circostanze pressanti, Swami Kriyananda disse che l’unico modo per farlo era quello di avere praticato quando le cose andavano meglio.  Se le lunghe meditazioni erano difficili, c’erano altri elementi degli insegnamenti che non erano così impegnativi?

Gli Esercizi di ricarica, un prerequisito per l’iniziazione al Kriya, hanno sempre avuto un posto speciale nel mio cuore. Ho trovato la serie piacevole e rilassante, così ho deciso di approfondire questa pratica, perfezionando le istruzioni in thailandese, assicurandomi di rimanere fedele alle istruzioni originali e preparandomi per insegnare il metodo, in modo vibrante, quando le limitazioni sarebbero state revocate. Quando non volevo meditare, facevo un patto con me stesso: mi sarei semplicemente energizzato; in seguito, il più delle volte, il pensiero di meditare non era più così pesante. Se tutti i grandi viaggi iniziano con un solo passo, perché il cammino verso la Realizzazione del Sé dovrebbe essere diverso?

Sebbene alla riapertura del Paese molti studenti non siano tornati, mi sono trovato comunque in pace. È stato come se il dolore provato durante la chiusura, il fallimento e l’isolamento, mi avessero rafforzato per una nuova prospettiva serena. Mentre prima il mio umore dipendeva dal numero di persone che riuscivo ad attirare, ora mi conforta la manciata di anime che tornano regolarmente.  Quando arrivano nuovi studenti, invece di fare del mio meglio per fare colpo, ora mi avvicino a loro con un atteggiamento distaccato, ma speranzoso: se questa è la prima e l’ultima volta che li vedo, che cosa vuole comunicare la Madre Divina attraverso di me?

Sono sicuro che, una volta o l’altra, tutti abbiamo desiderato di essere liberi dal dolore.  Ma ad una riflessione più profonda, il dolore è davvero una cosa così negativa? Consideriamo le persone affette da Insensibilità congenita al dolore con anidrosi (CIPA), che la National Library of Medicine (USA) descrive come “…una condizione molto rara ed estremamente pericolosa. Le persone affette da CIPA non sono in grado di percepire il dolore. I nervi che percepiscono il dolore in questi pazienti non sono collegati correttamente alle parti del cervello che ricevono i messaggi di dolore. La CIPA è estremamente pericolosa, e nella maggior parte dei casi i pazienti non superano i 25 anni di età. Sebbene alcuni di loro possano vivere una vita abbastanza normale, devono costantemente controllare la presenza di tagli, lividi, automutilazioni e altre possibili lesioni non percepite. L’automutilazione è una caratteristica quasi invariabile di questo disturbo, che coinvolge il più delle volte denti, labbra, lingua, orecchie, occhi, naso e dita“.

Ho capito che il dolore è un’espressione dell’amore incondizionato di Dio. Sebbene esista senza dubbio un’intensa sofferenza nel mondo, essere veramente liberi dal dolore significa accoglierlo come un dono di Dio. Tuttavia, dato che i colorati fiori di papavero alla fine si sono evoluti in eroina, che poi ha dato origine agli oppioidi sintetici che attualmente stanno annientando innumerevoli vite, il sottile appello a trascendere il dolore sembra impercettibile in una cultura dedita al piacere assordante.

Ma se iniziamo a praticare quando le cose sono più facili, affrontando coraggiosamente ogni incidente spiacevole con Dio nel cuore, vedremo chiaramente che Dio sta cercando di rafforzarci attraverso il dolore. Il dolore è una chiamata ad essere all’altezza della situazione. Il dolore è una vera e propria benedizione sotto mentite spoglie.

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Il dolore è una vera e propria benedizione sotto mentite spoglie…

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