I PRINCIPI

Fu saggio da parte mia – e, visto l’argomento di queste lezioni, fu pratico – essere così generoso, dal momento che eravamo in una condizione di grave necessità? Qualcuno potrebbe sicuramente considerare irresponsabile il mio comportamento; io, però, sapevo che avrei potuto raggiungere immediatamente cinquemila persone, che conoscevano Ananda e sapevano cosa stesse facendo. Quindi, non lo ritengo affatto un atto poco pratico! A dire il vero, posso asserire che qualcosa funzionò davvero per noi: Ananda Sangha, infatti, uscì più forte che mai da quella lotta. Le persone apprezzarono il dono di quel libro e, col passare degli anni, Ananda Sangha guadagnò una buona reputazione.

È sempre giusto essere generosi. Tuttavia, per rispondere alla domanda posta nell’ultimo paragrafo, bisogna anche essere pratici. Si dovrebbe, cioè, fare quello che funziona, ed essere generosi secondo i propri mezzi. Intendo dire che, sebbene possano non esserci i mezzi per essere generosi in altri modi più materiali, è comunque bene mantenere un atteggiamento generoso.

Ho cercato fermamente, nel corso degli anni, di mettere in pratica il consiglio del mio Paramguru: “Ricambiare servendo con animo grato”. La vita mi ha dimostrato che la generosità funziona molto meglio del moderno consiglio: “Sii competitivo!”. A dire il vero, ho imparato a preferire un’altra parola: “comparativo”. Sì, bisogna essere pratici; quando, per esempio, si deve decidere il prezzo di un prodotto da mettere in vendita, bisogna prendere in considerazione il prezzo di mercato di un prodotto simile, l’ubicazione del proprio negozio, l’agiatezza (o meno) dei propri clienti e altre osservazioni di carattere pratico. Il prezzo, in questo caso, deve essere comparativo. Stabilire un prezzo in modo competitivo, invece, suggerisce l’intento di battere la concorrenza. Perché farlo? Colui che cerca di danneggiare gli altri non prospera mai veramente.

Talvolta rifletto sul karma che si crea non solo nel tentativo di danneggiare gli altri, ma anche quando si cerca di sfruttarli il più possibile senza dare niente in cambio. Come sappiamo, vi sono persone che mendicano per vivere, cercando di ottenere qualcosa senza dare nulla. Questo è il desiderio nascosto di molti individui, se non addirittura della maggior parte della gente. Al di là del fatto che una persona sia letteralmente un medicante o no, chiunque cerchi di ottenere qualcosa senza offrire nulla in cambio diventa, in un certo senso, un mendicante. Cercando di ottenere qualcosa in questo modo, si crea cattivo karma. Naturalmente è una sfortuna essere poveri, ma anche la povertà è una conseguenza del cattivo karma e genera, a sua volta, un ulteriore cattivo karma. È importante cercare di invertire questa spirale discendente. Un modo di fermarla è mostrare compassione in modo attivo verso coloro che sono meno fortunati.

In India molti credono che gli insegnamenti spirituali siano un’eccezione a questa regola. Sostengono che tali insegnamenti debbano essere offerti gratuitamente. Questa opinione è dovuta a un’errata comprensione della legge del karma. Insistere sul fatto che si ha il diritto di ricevere qualsiasi cosa senza contraccambiare, ci impoverisce dal punto di vista karmico. Ciò che dovrebbe essere gratuito è la disponibilità ad aiutare gli altri attraverso gli insegnamenti spirituali, senza desiderio di guadagno. Se si ricevono degli insegnamenti in modo gratuito, si dovrebbe, per lo meno, avere un atteggiamento di apprezzamento, o meglio ancora esprimere in qualche modo tale apprezzamento.

Quarantacinque anni fa mi trovavo a East Patelnagar, un quartiere di Nuova Delhi che, per lo meno a quell’epoca, era una zona ricca, e diedi un’iniziazione al Kriya Yoga. Una delle buste offerte come dakshina rivelò, in seguito, che il suo contenuto era un solo naya paisa (meno di mezza rupia, N.d.T.). Al di là dell’insulto, implicito in una donazione tanto irrisoria, non potei fare a meno di domandarmi se quella persona avesse ricevuto una benedizione divina. Io stesso sentivo di aver commesso un peccato, avendo permesso a qualcuno di svalutare la grande benedizione di quella iniziazione. Il mio errore, che è bene includere nella storia, era stato di non aver verificato in anticipo la sincerità di quella persona. In seguito, ovviamente, non ebbi più modo di sapere di chi si trattasse; potei solamente pregare che Dio la perdonasse e le desse comunque la Sua benedizione.

L’atteggiamento di do ut des, comunemente attribuito ai commercianti, degrada, in un certo senso, sia colui che dà sia colui che riceve. Per affermare la mia stessa integrità, ho impartito insegnamenti a persone che mi avevano detto di non poter pagare. Spesso, poi, ho poi scoperto che avrebbero potuto facilmente assumersene l’onere. Comunque non ho mai smesso di farlo e ho agito come mi dettava la coscienza. Sospetto che, in simili casi, sia stato io l’unico a guadagnarci qualcosa.

Offrire qualcosa in modo gratuito significa praticare nishkam karma: “un’azione priva del desiderio dei frutti di quella azione”. Questo era l’insegnamento del signore Krishna nella Bhagavad Gita. Chiedere di ricevere un insegnamento spirituale come se fosse un diritto, senza offrire nulla in cambio, è un errore karmico. Non si dovrebbe accettare niente senza contraccambiare. Non è neppure sbagliato far pagare delle lezioni su argomenti spirituali, ammesso che la somma richiesta sia ragionevole e venga devoluta a una buona causa.

Il mio Guru faceva pagare le lezioni che impartiva. Chiedeva una cifra accettabile e utilizzava i soldi ottenuti per sostenere la sua opera spirituale in America. Inoltre, prendeva sempre in considerazione le possibilità economiche di ogni persona. Quando qualcuno diceva di non poter pagare, non gli faceva pagare nulla.

Anch’io ho seguito questo sistema. Tuttavia, negli anni, ho notato che coloro che non davano niente non ricevevano nulla che avesse per loro un valore reale.

I commercianti, giustamente, lavorano per ottenere un profitto. Il loro atteggiamento, come spiegherò più avanti in altre lezioni, dovrebbe essere di servizio verso il prossimo, oltre che di ricerca di un guadagno personale. L’attività economica stessa, oltre a offrire un profitto, dovrebbe anche assolvere lo scopo di dimostrare gratitudine all’universo per “l’aria libera della Terra”, come diceva Sri Yukteswar.
Ricordo che, quando avevo diciotto anni, decisi di imparare l’arte del canto. Molte persone mi avevano incoraggiato a intraprendere questa carriera. Cercai almeno di “tastare il terreno” e mi recai da una nota insegnate di canto. Era un’anziana signora che, anni addietro, era stata una rinomata cantante lirica. Rimasi impressionato quando, con fermezza, dichiarò fin dall’inizio: “Le lezioni costeranno cinque dollari ciascuna. Non ho bisogno di quei soldi: non mi servono proprio. Sei tu che hai bisogno di pagare”.

Anche Babaji Maharaj, il paramguru di Swami Sri Yukteswar, disse a Lahiri Mahasaya (il guru di Sri Yukteswar) di far pagare cinque rupie per l’iniziazione al Kriya Yoga. Erano gli studenti ad aver bisogno di pagare, non certo Lahiri Mahasaya ad aver bisogno di soldi. Anzi, i soldi che riceveva venivano usati per aiutare i poveri.

Nel mio caso, sebbene volessi studiare canto e non avessi i cinque dollari settimanali per pagare le lezioni, non chiesi a mio padre di pagare per me. Mi trovai un lavoro come cameriere in un ristorante del luogo, una sera la settimana. In quel modo, riuscii a pagare le lezioni private.

Nell’antico sistema indiano chiamato Gurukul, gli studenti pagavano gli insegnamenti che ricevevano secondo le loro possibilità economiche. Quanto più una persona dona se stessa generosamente, a Dio, alla vita, all’universo stesso e non solo agli individui, tanto più la legge del karma la contraccambierà sostenendola.

Alcuni anni fa, un intervistatore di un programma televisivo mi chiese: “Che cosa ha fatto di ‘pratico’ per rendere Ananda un luogo di successo?”. Avevo parlato fino a quel momento dei nostri ideali spirituali.

Con una certa convinzione, nata da una lunga esperienza, risposi: “La fede è pratica. A dire il vero, lo scopo principale degli insegnamenti dello yoga è rendere pratica la religione stessa. La fede è pratica. È più probabile ottenere perfino il successo materiale, quando applichiamo i principi spirituali a quello che facciamo. Quindi, per rispondere alla sua domanda, sì, siamo stati pratici. Abbiamo creato delle imprese, abbiamo offerto seminari, pubblicato libri, abbiamo viaggiato per tutto il Paese tenendo lezioni. Tutte queste cose ci hanno aiutato materialmente, come comunità, permettendoci al tempo stesso di aiutare gli altri. In ogni caso, per tornare al primo argomento di stasera, ho anche imparato attraverso l’esperienza che la fede, se è utilizzata a beneficio degli altri e non solo di se stessi, è la cosa in assoluto più pratica”.

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