I PRINCIPI

In Autobiografia di uno yogi, Paramhansa Yogananda riporta questa frase di Swami Sri Yukteswar Giri, il mio Paramguru:

“Finché respiri l’aria libera della Terra, hai l’obbligo di ricambiare servendo con animo grato”.
Sri Yukteswar stesso, in altre circostanze, avrebbe potuto chiedere: “Chi sta servendo chi?”.

“L’aria della Terra” semplicemente esiste; è parte della vita di questo pianeta. Perché, avrebbe potuto inoltre chiedere, in modo retorico, è necessario ringraziare? Il punto è che ogni cosa nell’universo è creata consapevolmente e con amore. Nulla vi è di irrazionale, sebbene talvolta possa sembrare così all’intelligenza umana. Per l’uomo, ad esempio, sembra non esservi una ragione per la malattia, o un motivo per cui un bambino debba nascere cieco o per cui una persona che sia intelligente e dotata debba subire un fallimento finanziario, mentre un’altra ottiene un successo strepitoso, sebbene non abbia fatto nulla per conquistarlo. È naturale chiedersi: “Perché essere grati senza motivo?”.

La risposta è duplice: innanzitutto, come vedremo, vi è realmente un perché, nel senso che esiste una coscienza che riceve la nostra gratitudine e risponde a essa e, in secondo luogo, perché l’esprimere gratitudine ci nobilita.

Sri Yukteswar disse inoltre che la legge del karma, sebbene funzioni in gran parte in modo automatico, è anche guidata da un’intelligenza universale e dall’amore, e può essere manipolata o deviata in modo intelligente. Pertanto il concetto di grazia divina, kripa in Sanscrito, si trova nella maggior parte delle religioni. Kripa può essere conquistata soprattutto con la devozione divina e attraverso l’amore.

Infine, dovremmo essere grati per la vita stessa. La gratitudine, in questo caso, va al di là della ragione; dopotutto, si potrebbe dire, noi esistiamo: perché essere grati per questo fatto? La gratitudine, se compresa correttamente, non ha un motivo: è semplicemente un aspetto della pura gioia della nostra esistenza, ed è parte di questa gioia a tal punto che è difficile distinguere l’una dall’altra.

Il successo nella vita dipende da quanto fedelmente seguiamo i principi della legge del karma. Il principale scopo del karma è di istruire le persone attraverso la punizione e la ricompensa e, inoltre, più in generale, di guidare ogni forma di vita verso l’evoluzione. Non vi è malanimo né favoritismo alcuno nel suo funzionamento. Tutto ciò che accade nella vita, e persino nella materia apparentemente inanimata, è il risultato di un’energia che è stata proiettata. In questo senso il karma è semplicemente l’applicazione della legge di Newton: a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Per l’uomo moderno è difficile accettare che alle creature viventi si applichino leggi apparentemente adatte soltanto ai meccanismi. La scienza moderna ha influenzato le persone, mostrando un universo inanimato e privo di coscienza. La biologia moderna, ad esempio, ha rafforzato questa visione presentando l’evoluzione stessa come accidentale e dimostrando che la materia inerte reagisce agli stimoli essenzialmente allo stesso modo dei nervi. Osservando con un pregiudizio materialistico questo fatto comprovato, si arriva naturalmente alla conclusione che nulla, in verità, è cosciente o vivo.

La debolezza di questa conclusione è nella sua stessa assurdità, che si manifesta come un’ovvia contraddizione: è necessaria, infatti, la coscienza, per giungere a quella conclusione, così come sono necessari gli esseri viventi per provare interesse per questo soggetto!

In ogni caso, è più facile credere che la legge del karma agisca a livello umano piuttosto che su oggetti inanimati. Non è difficile comprendere che possa esserci una giustizia in un bambino nato cieco, soprattutto se, oltre alla legge del karma, si accetta il principio che la accompagna, quello della legge della reincarnazione. È più difficile vedere il karma applicato a questioni apparentemente “automatiche”, come la caduta di una stella. Tuttavia, le leggi sul moto di Newton si riferiscono a una causa e a un effetto che agiscono anche su oggetti apparentemente “inanimati”.

Newton aveva una mentalità religiosa. Fu ostacolato nel diffondere quelle scoperte, perché le sue convinzioni contraddicevano numerosi dogmi, sia della religione sia della scienza tradizionale. Quest’ultima aveva già cominciato a manifestare i segni di un integralismo fino ad allora riscontrato principalmente nella religione (naturalmente non erano la religione, la politica o la scienza e neppure altri sistemi a creare intolleranza e dogmatismo: era, semplicemente, la natura umana!). Qualsiasi accenno spirituale fosse stato presente nella teoria newtoniana della “forza uguale e contraria” sarebbe stato assolutamente respinto dagli scienziati dell’epoca, proprio come sarebbe stato rifiutato “per principio” dai religiosi bigotti.

Dal punto di vista scientifico, il vero problema della religione è stato la sua connotazione antropomorfica: l’aver dato al Signore Infinito la forma umana del Signore Krishna, per esempio, o l’averLo equiparato a Suo “figlio” Gesù Cristo. Nessuna delle due cose è compatibile con le scoperte moderne, in cui l’universo contiene miliardi di galassie, ciascuna delle quali composta da miliardi di stelle. Newton stesso non dubitava dell’esistenza di una coscienza divina nell’universo, né lo facevano gli antichi insegnamenti indiani, di cui il Vedanta è, in questo caso, un esempio eccellente.

Newton era obbligato dai dogmi della scienza moderna a escludere Dio dalle sue teorie. Altrimenti, tutto ciò che insegnava lo avrebbe semplicemente escluso da entrambi i gruppi: quello scientifico e quello religioso.

Le sue conclusioni si adattavano al metodo scientifico della scoperta attraverso l’indagine, cosa che escludeva automaticamente il sistema di credo religioso, basato interamente sui dogmi delle Scritture. Egli poteva quindi adattare le sue scoperte solo a uno dei due gruppi; ovviamente, l’ambito per lui naturale era quello degli studiosi di fisica dell’epoca.

Per quanto riguarda la sofisticata comprensione di simili argomenti di portata cosmica, gli antichi saggi dell’India, o rishi, possedevano conoscenze di gran lunga superiori a quelle della scienza moderna. Questa verità è evidente dal fatto che la scienza moderna si sta avvicinando sempre più proprio a quelle antiche conoscenze che, per secoli, furono rifiutate in Occidente, perché ritenute non religiose e non scientifiche.

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